Storia del Meneghino

Meneghino Giovanni Cova e C

Sono una maschera innamorata
della città che m’ha creata.
Porto nel cuore la “Madunina”
e canto sempre ogni mattina.
Col panettone in una man
ché “el me’ Milan, l’è un gran Milan!”

Il Meneghino (in dialetto milanese “Meneghin”) è la tipica maschera del teatro milanese, ideata nel 1600 dallo scrittore e commediografo milanese Carlo Maria Maggi (1630 – 1699).


Il letterario Carlo Maria Maggi potrebbe aver preso ispirazione per il suo Meneghino, da un personaggio secondario de “La Lena” di Ludovico Ariosto, oppure da Ménego, contadino ingenuo e poltrone, protagonista del “Dialogo facetissimo” del drammaturgo Angelo Beolco.


Alcuni raccontano che i più benestanti tra i nobili milanesi, amavano contornarsi di molti servitori, mentre gli aristocratici meno abbienti, si concedevano un unico domestico un giorno solo alla settimana, ovvero il giorno generalmente dedicato alla socializzazione, cioè la domenica. Da qui, di fatto, potrebbe derivare il nome “Domenichino”, che tipicamente incarnava l’immagine della maschera milanese. Difatti, Domenico in milanese, è Domenegh o Menegh. ‘Domenighin’ era quindi l’appellativo che si usava dare al domestico che, la domenica, aveva inoltre il compito di acconciare e accompagnare le nobildonne milanesi in chiesa per la messa domenicale o a passeggio.


Il Meneghino era inoltre il contadino della campagna lombarda, che, venuto in città in cerca di lavoro, si era messo a fare il servitore. Caratterizzato da saggezza, un forte senso di giustizia e affabilità, era pronto ad accettare qualsiasi avversità della vita, non con passiva rassegnazione, bensì con un senso di fiduciosa attesa di tempi migliori. Il suo forte senso di giustizia e sincerità è simboleggiato dal fatto che a differenza di molti personaggi della commedia dell’arte, non indossa una maschera e viene raffigurato sempre a volto scoperto.


Non era tuttavia, il classico “dandy”, anzi, si racconta che avesse dei modi di fare un po’ rozzi, tuttavia, veniva assunto dalle famiglie appositamente per le sue caratteristiche. Non mancava, inoltre, di pronunciarsi con alcune barzellette spesso pungenti.

Conservatore della propria emancipazione, era sempre in prima linea quando vi era da prendere una posizione sostenendo i suoi cari. Perfino durante l’insurrezione delle Cinque Giornate di Milano del 1848, i milanesi lo scelsero come rappresentazione dell’audacia e del coraggio e a quanto riferisce la storia, fu esibita la sua maschera sulle barricate come simbolo di indipendenza e di riscatto dalla soppressione.
Caratterialmente era un soggetto perspicace, ma non in cerca di benevolenza ad ogni costo. Era normalmente un po’ spavaldo e “sbruffoncello”: caratteristica della sua natura di contadino e popolano.

Meneghino con soggetti Givoanni cova e C

Alcuni raccontano che a Porta Cicca (Porta Ticinese) il Meneghino incontrò Cècca, che presto poi diventò sua moglie. Cècca, difatti, amava adornare i vestiti del Meneghino con nastrini vari e per questo la chiamavano “Cècca di birlinghitt”, (birlinghitt in milanese, significa fronzoli, nastrini e guarnizioni).

Oltre ad essere una domestica pure lei, arrotondava le entrate svendendo nastrini e decorazioni ornamentali alle occasionali clienti del marito.
Diminutivo di Francesca, Cècca era raffigurata come la classica moglie del milanese; teneva tutto sotto controllo, aiutava il marito come poteva preoccupandosi della casa e equilibrando il fondo economico familiare.

La figura di Meneghino normalmente indossa un berretto a tre punte sopra una parrucca nera col codino, una camicia bianca con sopra una lunga giacchetta e un panciotto a fiori solitamente colorato, calzoncini corti al ginocchio, calzerotti lunghi a righe bianchi e rossi e stivaletti neri con fibbie.

Il meneghino è tutt’ora il simbolo popolaresco della città di Milano, tanto che il termine “meneghino” è normalmente utilizzato per identificare i cittadini milanesi e usato in gergo, indica ciò che è più caratteristico della città ambrosiana.

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